Una delle attività più semplici ed efficaci per ricongiungerci al nostro potenziale primitivo consiste nel semplice atto del camminare. Lo stile di vita nomade o seminomade di buona parte delle popolazioni primitive ha fatto sì che il camminare sia qualcosa di più di una semplice azione motoria.
I riferimenti simbolici legati al camminare sono parte integrante di ogni linguaggio; nelle tradizioni orali e nella letteratura di ogni nazione sono infinite le metafore legate al viaggio: fonte di conoscenza, momento di confronto con altre genti e culture, occasione di introspezione e di un contatto con sé stessi più profondo.
Secondo diverse culture il cammino può divenire un atto di carattere mistico, come ci ricordano i numerosi pellegrinaggi che tutt’oggi rivestono uno speciale significato nella vita dei fedeli di tante religioni. E’ inoltre noto a tutti che una camminata, anche senza meta, è un buon modo per ritrovare la calma, la chiarezza dei pensieri, l’ispirazione o qualsiasi altro stato d’animo al momento necessitato.
Dal punto di vista corporeo, il gesto del camminare è prezioso per la salute di chiunque e non andrebbe mai evitato, indipendentemente dall’età e dalle condizioni fisiche. Sebbene gli effetti allenanti siano limitati (negli studi principali non sono stati registrati variazioni significative nei parametri di valutazione standard, come, ad esempio, il consumo di ossigeno, ecc.) il camminare è comunque un gesto che attiva profondamente l’organismo sotto più punti di vista, di particolare importanza sono gli effetti sulla circolazione sanguigna e linfatica ed anche sul sistema nervoso e sulle articolazioni. Insomma camminare ha un effetto positivo generico su tutto l’organismo; non a caso Ippocrate era solito prescrivere una lunga camminata come primo rimedio contro una lunga lista di malanni. Tale prescrizione è particolarmente significativa se paragoniamo lo stile di vita attuale, estremamente sedentario, a quello tipico della società Ellenica, ove una corretta attività fisica era ritenuta della massima importanza e soprattutto l’esposizione allo stress urbano era decisamente minore o nulla; ancora più importante quindi, per noi, concederci lunghe passeggiate in mezzo alla natura.
Gli effetti del camminare sono tanto più tangibili e benefici quanto più il nostro modo di camminare è funzionale. Purtroppo la maggior parte delle persone non cammina in maniera ottimale: le lunghe ore di semi-immobilità dovute alla professione, allo studio o ai sempre più preponderanti passatempi sedentari lasciano il corpo irrigidito, più abituato al mantenimento di posizioni e gestualità apprese per adattarsi alle dimensioni ed alle dinamiche delle nostre abituali postazioni di lavoro (automezzo, computer, ecc.) rispetto alla mobilità richiesta dallo spostamento.
Le principali catene muscolari, contratte e accorciate, non consentono la normale estensione del passo, la pelvi e le spalle non ruotano a sufficienza e l’arco di movimento delle caviglie è ridotto: in tal modo camminare diviene un gesto poco armonico, faticoso e, per qualcuno, logorante.
Per goderne di tutti i benefici di questa attività oltre che del gesto stesso, è necessario adottare alcuni semplici accorgimenti che, nel tempo, restituiranno al nostro passo tutta l’elasticità e l’eleganza che gli compete:
- camminare su superfici naturali (prati, sentieri, ecc.): le pavimentazioni dure e livellate “addormentano” la sensibilità di piede e caviglia.
- Non vestire calzature, se la stagione le rende indispensabili queste dovranno essere senza tacco, non strette, flessibili e leggere, dovranno soprattutto lasciare mobilità alle dita del piede.
- Non tenere niente in mano: se si deve portare appresso qualcosa usare zainetto o marsupio.
- Evitare abiti stretti, soprattutto a livello della cintura.
- Mantenere la schiena eretta, ma non rigida, ruotare le spalle qualche grado in più rispetto alla nostra rotazione abituale e lasciare oscillare naturalmente le braccia.
- Enfatizzare leggermente il movimento della caviglia per migliorare la propulsione.
- Non tenere lo sguardo fisso a terra, cercare anzi di guardare più lontano possibile ed al contempo utilizzare la visione periferica per mantenere ampio il campo visivo (i movimenti oculari influenzano decisamente le dinamiche motorie della deambulazione).
Se il significato “interiore” e metafisico del cammino è presente in ogni cultura, nelle popolazioni primitive questo è talmente integrato col gesto e col corpo stesso da essere identificato, talvolta, con la vita stessa. Nei canti, nei miti e nelle leggende il cammino appare come gesto supremo: in effetti esso è lo strumento per procurarsi il cibo, per azionare la fisiologia, per mantenere sano il corpo; la sua sacralità è così esplicitata:
“A mezzanotte
io cammino
contro i venti
io cammino
nella notte
Io cammino
Quando il gufo grida
io cammino
al sorger del sole
io cammino
quando il corvo lancia il suo richiamo
io cammino”
Canto Lakota
“Il cammino è mio compagno. Mi parla sotto i piedi tutto il giorno, canta i miei sogni tutta la notte. Il mio incontro con lui non ebbe inizio, comincia senza fine ogni mattino rinnovando la sua estate in freschi fiori e canzoni e ogni suo nuovo bacio è il primo bacio per me.”
(Rabindranath Thakur – Raccolta di frutti – Londra 1916)
Vi sono infinite altre citazioni possibili, molte tratte dalle tradizioni nomadi; anche in produzioni culturali più vicine alla nostra compaiono concetti analoghi espressi in maniera del tutto simile: dal detto latino Solvitur ambulando, “camminando si trovano soluzioni” al pregevole trattato di De Balzac (Teoria del camminare) di cui consiglio caldamente la lettura, fino a Soren Kierkegaard (Lettera a Jette): “Soprattutto, non perdere la voglia di camminare: io, camminando ogni giorno, raggiungo uno stato di benessere e mi lascio alle spalle ogni malanno; i pensieri migliori li ho avuti mentre camminavo, e non conosco pensiero così gravoso da non poter essere lasciato alle spalle con una camminata… ma stando fermi si arriva sempre più vicini a sentirsi malati… perciò basta continuare a camminare, e andrà tutto bene.”