Cautela e risolutezza

di Massimo Mondini

Qualche anno fa ho invitato un mio caro amico, grande amante della montagna, a fare una camminata di una giornata con me. Il percorso era abbastanza impegnativo e lui era completamente fuori forma quindi mi ero premurato di chiedergli più volte se se la sentisse davvero di affrontare quel percorso con quel dislivello... che in assoluto non era un granché ma per uno che ha passato i quaranta e che non si allena da più di un decennio, poteva essere forse troppo.

La gita non deve essere una tortura e soprattutto non deve essere fonte più di sofferenza che di soddisfazione, quindi proposi un percorso alternativo un po' più breve e con meno dislivello. Ma lui era deciso, lo voleva fare a tutti i costi e così abbiamo camminato.

Ed è andata molto bene, nonostante la sedentarietà e il sovrappeso mi ha stupito. Ho fatto decidere a lui il passo e le pause ed è stata un gran bel giro.

A fine giornata in seguito alle mie considerazioni su quanto fosse stato determinato nel portare a termine il percorso, mi diede una spiegazione basata su due elementi che in realtà sono principi fondamentali, strategie utilissime nella gestione della fatica.

Ora ti riporto questi principi con le esatte parole che ha utilizzato lui:

1 - “Sono sempre stato abituato alla fatica”

Pur non essendo allenato da anni è cresciuto facendo lavori abbastanza pesanti nella fattoria di famiglia. Anche quando studiava, tutti i giorni si alzava prima per aiutare il padre in qualche mansione impegnativa.

2 - “Amo la montagna” 

Infatti gli mancava da troppo tempo fare una bella camminata in montagna sia perché la sua comitiva di amici solita non aveva la stessa passione sia perché la sua compagna detestava la montagna.

Quindi nonostante si sia trovato di fronte ad alcune difficoltà oggettive come affrontare una giornata in montagna senza un minimo di allenamento né a livello cardiovascolare/ respiratorio né a livello muscolare, appesantito fisicamente e stanco dopo una settimana molto impegnativa di lavoro, ha gestito benissimo la fatica grazie allo stato d'animo, alla predisposizione e  soprattutto grazie ai due elementi appena descritti: il NON farsi spaventare dalla fatica perché è un elemento già conosciuto e affrontato quotidianamente per anni e il godersi profondamente quello che stava facendo grazie al suo amore per la montagna.

Sembrano cose da poco ma in realtà questi sono due dei principi fondamentali per gestire bene la fatica nelle sue varie forme, e sono attitudini per nulla scontate. Ovviamente ci sono altri strumenti importanti per gestire al meglio la fatica ed evitare quindi che ci bruci troppe energie.

Al di là della grande quantità di studi in merito, qualsiasi atleta sa benissimo che la qualità della nostra prestazione, soprattutto in termini di gestione della fatica, dipende moltissimo da come è predisposta la nostra mente in generale e da come è predisposta in quel particolare momento quando siamo chiamati a governare le nostre energie in maniera ottimale.

Ma come possiamo utilizzare questi principi nella vita quotidiana?

Molti di noi non sono cresciuti in fattoria ma in appartamento e, siccome non si può modificare la nostra infanzia o il nostro passato, cosa possiamo fare se non riusciamo ad esprimere la convinzione “Sono già abituato”?

E se non abbiamo un amore profondo per l'azione che stiamo svolgendo, ma anzi forse ci risulta un po' ostica o fastidiosa, come possiamo fare?

Come accennato i principi che possono aiutarci a superare la fatica sono tanti. La rete di Vigor è vasta e potente, ci ricorda la forza inarrestabile di Nettuno.

Un principio che gli antichi conoscevano molto bene per il miglior impiego dell'energia, per evitare inutili dispersioni e per portare a termine il lavoro è il seguente:

Cautela e Risolutezza

Essere risoluti nell'azione vuol dire agire senza distrazioni, senza titubanze, con decisione e determinazione, pronti ad affrontare qualsiasi ostacolo previsto o meno per arrivare al compimento del lavoro.

Questo grande esercizio di energia e coinvolgimento totale sembra essere contrapposto al senso di cautela, no?

Invece no, i maestri sostenevano che solo chi è realmente cauto può essere risoluto ed agire in affinità al proprio istinto. E solo chi agisce in questo modo può utilizzare al meglio le proprie energie.

Una persona che non ha una preparazione specifica se pensa di essere cauto di solito inizia ad avere dei tentennamenti, oppure si sente di agire “col freno tirato” oppure si perde in mille ragionamenti preliminari, dubbi e astrazioni che fanno esitare o comunque ritardare l'inizio dell'azione.

Così come se pensa di essere risoluto rischia di agire in maniera concitata, ai limiti della sconsideratezza o comunque di impiegare un eccesso di energia e risorse.
Insomma difficilmente vediamo questi elementi come compatibili.

Comprendere la cautela non vuol dire essere timorosi di fare errori, di mettersi in pericolo o di stancarsi anzi è uno stato d'animo di calma e quiete, possibile solo se la persona è centrata, padrone delle sue risorse.

Essere cauti e ponderati nell'azione ci permette di agire in maniera coerente e forte, col giusto livello di disinvoltura e senza tensioni inutili. Essere cauti è uno stato di sintonia col non sé, cioè di apertura, comunicazione e comprensione con l'ambiente che ci circonda mentre essere risoluti è la capacità di focalizzarsi pienamente solo sui segnali che ci servono per portare a compimento l'azione nel migliore dei modi possibile e quindi non disperdere energie attentive oltre che quelle esecutive. Agire in uno stato di interezza del nostro essere.

Non a caso il termine fatica deriva da “fatis” che tra le altre cose significa “separazione, frattura”, agire in uno stato di non unità, aumenta la fatica. Mentre se corpo, movimento, fine ultimo, idee e percezioni sono coinvolti in coerenza allora siamo superbamente equipaggiati per affrontare la fatica, anche se non siamo cresciuti in fattoria.

Come possiamo recuperare e padroneggiare Cautela e Risolutezza quando ci servono?

Sono coinvolti elementi interni ed esterni, partiamo col considerare da quelli esterni.

Innanzitutto valutare il lavoro da fare raccogliendo quante più informazioni possibili su quante risorse richiederà (tempo, energie, ecc.) e, cosa che molti si scordano di fare, valutare tutti i fattori ambientali che possono interferire e richiedere ulteriori risorse, come ad esempio altri impegni, altre difficoltà che si possono avere in qualsiasi ambito della vita non collegato con quel lavoro specifico ma che comunque avranno un effetto. Predisporre in anticipo gli strumenti, preparare adeguatamente eventuali collaboratori insomma laddove possibile padroneggiare tutto il contesto.

Una volta che abbiamo fatto valutazioni concrete sull'entità e le tempistiche del lavoro da svolgere è necessario preparare tabelle di marcia di riserva da utilizzare nel caso di imprevisti che possono comunque verificarsi nelle varie fasi del lavoro. E valutare sempre il tutto in relazione alla nostra reale disponibilità di tempo e di energia.

Tutto ciò, oltre ad essere semplice buonsenso e prevenire problemi pratici, ci porta sempre di più verso il principio di cautela, ci predispone alle giuste modalità operative.

Il lavoro interno, altrettanto importante, è attuabile in diversi modi, per avere gli effetti più rapidi suggerisco di utilizzare uno dei tanti tipi di respirazione riequilibrante. Attenzione, non deve servire a rilassarsi o a caricarsi di energia ma per il riequilibrio. Ci sono esercizi adatti nel Pranayama, nel TuiNa, una branca del QiGong, e in altri metodi di integrazione psicofisica.

Nel Movimento Arcaico ad esempio utilizziamo lo schema respiratorio associato al semplice cammino. Camminare in maniera sciolta e ritmica attivando il giusto pattern respiratorio ci mette automaticamente in uno stato di calma vigile.

Un altro aspetto del lavoro interno è consentirsi di entrare pienamente a contatto in maniera alternata con entrambe le modalità Cautela e Risolutezza e spostarsi da una all'altra finché automaticamente il nostro cervello trova il punto di equilibrio perfetto.

È più facile a farsi che a dirsi... coi gesti archetipici ad esempio si può passare alternativamente da camminata a quadrupedia e viceversa finché il gesto di mezzo, cioè quello del passaggio da un pattern all'altro diventa pienamente consapevole e funzionale. Di solito bastano 7-8 passaggi, cioè tra i dieci e i dodici minuti di pratica tranquilla e rilassata.

Ovviamente si possono scegliere anche altri gesti, l'importante è richiamare con grande chiarezza la presenza di questi due stati di risorsa. Questo ti porterà a mobilitare le tue energie senza bruciarle inutilmente.


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