Hai mai visto una di quelle scene da cinema in cui uno sbruffone fa un ottimo tiro con un arco o balestra, e l’eroe lo mette a posto centrando e spaccando la sua freccia conficcata nel bersaglio?

Sembra impossibile, vero? Ma sembrerebbe ancora più impossibile se l’eroe ripetesse un tiro simile dieci volte di fila. E sai cosa lo farebbe sembrare ancora più impossibile? Se l’eroe avesse provato a colpire il bersaglio 50 volte mancandolo completamente fino a 5 minuti prima 🙂
Eppure, una cosa simile l’ho vista succedere con i miei occhi.
È un procedimento che ho guidato varie volte in più persone, è puro Movimento Arcaico.
E in questo articolo voglio mostrarti come puoi farla succedere anche tu, non in un film, ma nella tua vita, e non con l’arco e le frecce, ma con idee, soluzioni, piani, iniziative.
Questa, infatti, è stata la cosa più richiesta nel sondaggio che ho proposto: come stimolare fisicamente le aree del cervello attive nella ricerca di soluzioni pratiche e originali.

Tra un attimo ti darò una tecnica estremamente semplice ma quasi miracolosa per catalizzare cambiamenti rapidi non solo nelle tue prestazioni psicofisiche, ma anche per “alleggerire” e rivitalizzare tutto il tuo ambiente interiore.
Prima però è meglio capirsi bene sulla natura del problema e sul nostro reale obiettivo.
La quasi unanimità della risposta alla domanda di cui sopra nasce da una triste realtà: i lavori che richiedono più flessibilità e vivacità mentale sono spesso quelli che più inibiscono queste caratteristiche.
“Il lavoro mi stressa, mi logora, mi opprime, a volte sono proprio al limite…eppure il mio sarebbe un lavoro creativo, darei risultati migliori se mi sentissi più libero e sereno…”
È un ritornello che sento continuamente da professionisti di ogni tipo. Lo sento in particolare da chi lavora nella tecnologia, ma anche da molti che forse consideri più “liberi” dalle pressioni del mondo del business, come ad esempio insegnanti e formatori di vario tipo, e artisti come musicisti o pittori.
Anche senza sconfinare nelle arti vere e proprie, sono moltissime le professioni che richiedono flessibilità, freschezza e creatività per trovare soluzioni sempre nuove e originali: dall’ingegneria al marketing, dalla ricerca scientifica alla cucina.

A tutti loro è richiesta sia l'aderenza rigorosa a schemi esterni, sia inventiva e prontezza nel trovare risposte originali a problemi sempre nuovi.
Peccato che gli stessi lavori - e la scuola, e la società - ci spingano a coltivare anche abitudini e abilità di segno opposto.
Da una parte ti si richiede di essere puntuale, preciso ed affidabile, di saper percorrere tutti i punti in ordine senza tralasciare nulla, metodo e ordine; dall’altra, in molti settori ti si richiede anche di saper ideare soluzioni nuove, di rompere gli schemi, ti si richiede prolificità creativa, grandi capacità di comunicazione interpersonale e calore nei rapporti umani, e così via. Richieste che possono a volte restare implicite, ma non sono per questo meno urgenti.
Da una parte la richiesta è di rigore, autolimitazione, l’entrare in schemi rigidi e monotoni, dall’altra, tutto il contrario! E su entrambi i fronti, la richiesta di fondo è quella di competere e (termine orribile da molti punti di vista) performare. Perché sai bene che il tuo lavoro deve raggiungere certi standard di produttività e rendimento.

Naturalmente, questo induce ansia e tensione (la famosa “ansia da prestazione”), rendendo - se ce ne fosse bisogno - ancora più difficile bilanciare i due aspetti “polari” di cui sopra.
Perché per ottenere i risultati migliori, proprio di bilanciare si tratta.
Come ho scritto in un recente articolo sull’uso del gioco per ricaricarsi dalle routine logoranti, gli schemi fissi non sono una deviazione patologica, ma parte delle normali funzioni di adattamento umano, indispensabili a una funzionalità completa. Lo stesso vale per l’autodisciplina, l’autoregolazione, il controllo degli impulsi: sono atti naturali che servono per coltivare ed esercitare funzioni umane superiori.
Il problema nasce quando la pressione ad autoregolarsi ed automotivarsi è così forte da inibire o perfino “spegnere” le abilità opposte.
Per tenere vive entrambe le “modalità” e liberare il nostro vero potenziale è necessario esercitarle entrambe regolarmente, perché entrambe traggono giovamento dall’esercizio complementare dell’altra.

E il modo più rapido ed efficace che conosca per farlo è proprio tramite il gioco libero.
Mark Twain diceva a proposito:
“Il lavoro consiste in qualsiasi cosa il corpo sia obbligato a fare […] Giocare consiste in qualsiasi cosa che il corpo non sia obbligato a fare.”
La citazione traccia un confine molto netto tra lavoro e gioco. E giustamente, perché nel momento in cui il lavoro assume anche solo in minima parte quella seriosità inutile e quella serietà che invece deve avere, allora il nostro cervello NON può giocare. Si attivano dei percorsi neurali diversi e le funzioni di gioco vengono inibite a monte, a livello biologico, checché ne dicano tanti ben intenzionati formatori aziendali.
Sono perfettamente inutili in questo senso tutte le iniziative di “giochificazione” dei task aziendali: puoi architettare tutti i sistemi di punti, traguardi e ricompense simboliche che vuoi, e questo può magari migliorare la produttività, ma non può liberare il vero potenziale creativo della mente di chi lavora, perché i percorsi obbligati attivano aree completamente diverse del cervello inibendone le funzioni creative a monte.
Qual è allora la soluzione?
Semplice: sviluppare entrambe le modalità.
Naturalmente la società attuale non permette di passare metà del nostro tempo dando libero corso ai nostri istinti “giocosi”. Per fortuna, una proporzione 50-50 non è necessaria: dopo il primo “risveglio”, bastano brevi ma intensi periodi di attività ludica regolare per mantenere vive le abilità psicofisiche attivate dal gioco.
Certo, inizialmente può esserci bisogno di una piccola “terapia d’urto”...

È emblematica da questo punto di vista la storia di una mia allieva.
Quello che sto per raccontarti è successo durante un mio corso estivo in Toscana, qualche anno fa. Stavamo facendo dei giochi su un particolare archetipo motorio, e questa ragazza, la chiameremo Francesca, era particolarmente tesa e ansiosa. Non si rilassava, si stava invece sforzando, con il prevedibile risultato di inibire l’apprendimento e generare ansia e frustrazione. Ogni tanto diceva tra sé e sé: “non ce la faccio, sbaglio tutto”.
Prendo da parte Francesca e le dico: “facciamo semplicemente un gioco. Qui c’è questa grossa pietra, devi colpirla con delle pietre più piccole.”

Francesca comincia a tirare, di nuovo, sforzandosi di colpire il bersaglio. Di nuovo tesa e ansiosa, tanto che a volte tira in apnea e sbuffa appena percepisce il risultato del tiro.
Allora fermo il gioco, la faccio rilassare un attimo con dei movimenti, e le dico: “adesso la pietra è ancora il bersaglio, ma devi tirare e SBAGLIARE. Devi mancare il bersaglio.”

Francesca riprende a tirare…e colpisce perfettamente il bersaglio. Lo colpisce sette volte di fila… al che le compare un leggero sorriso.
Allora la fermo di nuovo, e insisto: “guarda che non sto scherzando, non devi colpire la pietra, devi sbagliare il tiro”.
Francesca tira di nuovo, e non colpisce la pietra…ma tutti i tiri vengono “sbagliati” esattamente nello stesso punto, che continua a colpire infallibilmente.
Francesca è un po’ divertita e un po’ scossa, e di nuovo si dà della scema…ma come le ho detto allora, non è scema: è la mente umana che funziona così.
La tensione indotta dalla necessità di una prestazione misurabile e dal risultato “chiuso”, obbligato, inibisce le nostre naturali abilità, ma queste sono pronte a riemergere e a sfruttare il potenziale di apprendimento accumulato durante il periodo di “prove tese” nel momento in cui ci viene dato il permesso di sbagliare.
Questo, infatti, è il punto cruciale che distingue la modalità “lavorativa” da quella ludica: la sanzione dell’errore.
Sai che cos’hanno in comune molte delle più grandi scoperte scientifiche, delle più grandi composizioni musicali, e perfino dei più riusciti esperimenti culinari, divenuti poi ricette classiche?
Che sono emersi quando i loro inventori stavano sperimentando liberamente senza essersi posti obiettivi definiti e obbligati.
E anche tu puoi cominciare a sbloccare le tue capacità creative nella risoluzione di problemi e nella generazione di guadagno con una tecnica semplice e divertente.
Ti serviranno due cose:
- 1un recipiente non troppo basso e non troppo leggero con un’apertura di 10-15 cm, come un vecchio barattolo di vernice
- 2una bella scorta di tappi di sughero 🙂

La tecnica è la seguente:
- 1posiziona il recipiente in un punto dove puoi allontanarti da esso di almeno 4-5 metri (se vivi in appartamento e non hai spazi esterni, o vuoi usare l’ufficio, puoi usare la diagonale di una stanza)
- 2allontanati dal recipiente di 4-5 metri e tira i tappi cercando di fare “canestro”
- 3qui arriva la parte importante - continua a tirare finché stai ancora mirando all’apertura, ma non ti importa più di fare centro: ti stai solo divertendo.
Quello che vogliamo è accedere a una dimensione “meditativa” in cui la nostra attenzione è distolta dal risultato del tiro, perché è interamente assorbita dall’esperienza del tiro stesso.
Quando entri in questa dimensione puramente ludica, succedono subito varie cose:
Ma gli effetti più interessanti sono quelli a lungo termine, che si possono riassumere in una parola: libertà.
Quando nel tuo cervello sono attivi i percorsi del gioco naturale, del gioco originario, il gioco del cucciolo, ma con le abilità mentali dell’adulto:
Fantastico, no? C’è solo un piccolo dettaglio…
Per accedere da adulto alla dimensione di gioco “puro” le prime volte - e in particolare la primissima volta - è necessaria notevole perseveranza. Ossia, è necessario continuare a tirare quei tappi finché l’attenzione non si sposta dal risultato all’esperienza del tiro in modo autentico e completo.
Può essere che per te sia più facile. Per me è stata dura! 🙂
Ma ne è valsa la pena, perché ne sperimento i benefici ogni giorno.