Importante per tutti gli operatori della salute, coach e a chiunque lavori nella relazione di aiuto.
"Empatia" è un termine che si usa largamente al giorno d'oggi, è anche considerata una caratteristica di grande valore a livello professionale ed è una delle qualità umane di cui si parla di più da quando sono stati scoperti i neuroni specchio, però tutto ciò è abbastanza recente. Prima si utilizzava maggiormente una parola diversa, più vicina all'essenza, alle funzioni archetipiche legate all'empatia e alla forza primordiale che questa scatena.
Il termine è compassione.
Purtroppo questa potentissima parola negli anni ha perso un po' della sua forza o, come dicono i glottologi tedeschi, ha accumulato un po' di polvere... infatti la si intende solo come provare pena per qualcuno che soffre o che è in disgrazia mentre, nel suo significato primigenio, rivelava sì il sentire, ma anche il vivere e l’attivarsi in prima persona.
Se per te empatia o compassione vuol dire solo star male, partecipare alla sofferenza altrui, ti stai perdendo il bello e stai soffrendo quasi per niente.
Se siamo connessi alla forza primordiale della compassione, nel momento in cui compatiamo qualcuno lo comprendiamo completamente e partecipiamo per quanto possibile agli aspetti, anche quelli più profondi, della sua esperienza. Già solo questo è sufficiente per farci uscire, anche solo temporaneamente, dai limiti del nostro io e portarci a casa apprendimenti incarnati di notevole valore. Ma c’è anche molto di più…
Prima di procedere però è necessario un piccolo inciso.
A livello neurobiologico la compassione si relaziona strettamente a più di un sistema (gioco, amore, accudimento, ...) e anche a livello di archetipi, per la mia esperienza, non è mai un elemento singolo ma la troviamo sempre in sistema con forze agenti similari, ad esempio, per giocare in casa e stare sulle virtù romane, è in relazione stretta e inscindibile con Concordia, Clementia e Humanitas. Oppure con il principio greco di ἐλεέω, eleéō.
La funzione della compassione ha un effetto così rilevante nel plasmare la direzione della nostra vita da rappresentare una delle virtù fondamentali sia nella tradizione Romana sia nella Via del Cuore cinese, oltre che in altre culture. Gli antichi maestri non avevano dubbi, se non sei capace di compassione sei una nullità, la compassione è ciò che salva il guerriero dall’agire con prepotenza, il sapiente dalla saccenza, il potente dell'ostentazione, il funzionario dal formalismo, e chiunque dall’arroganza, insomma ci salva soprattutto da noi stessi. In chiave moderna potremmo dire che ci salva dalle nostre fallacie e che stempera quelli che potrebbero essere eccessi di ego.
Ma la compassione non è “solo” un sistema di sicurezza che ci preserva dall'autoreferenzialità, o dalle varie trappole dell'ego, è anche e soprattutto un potente canale di apertura all'altro in senso generativo.
La Compassione è una dinamica molto potenziante per noi in quanto avvia e sostiene alcune delle funzioni biologiche fondamentali. La compassione della madre verso il sentito della sua prole fa sì, ad esempio, che mamma tigre o mamma grizzly, solitamente esseri poco socievoli, possano esprimere un livello di accudimento che va molto oltre i bisogni materiali, aiutando quindi lo sviluppo del piccolo al meglio delle sue possibilità. Fa sì che un papà (potenzialmente) abbia la possibilità di comprendere pienamente le emozioni di un figlio o una figlia anche se dovessero essere completamente lontane dal suo modo di sentire.
La compassione è lo strumento principale per saperci mettere realmente nei panni di qualcun altro ed avere così una visione della realtà arricchita, possedere una prospettiva diversa che può esserci di massima utilità.
Inoltre la funzione archetipica della compassione va a bilanciare e a potenziare forze apparentemente opposte come, ad esempio, la percezione del nostro valore individuale e la capacità di protezione di noi stessi e dei nostri interessi.
Quando il sistema di compassione agisce libero ed è cristallino siamo, nei rapporti con l’altro, in una posizione di chiarezza percettiva e di forza, quando invece non lo è rischiamo di soffrire inutilmente per qualcuno senza alcun vantaggio per noi e senza portare nessun aiuto reale a chi soffre. La nostra posizione perde forza.
Scrivevo poco più su “ importante per operatori…”, chiunque si trovi ad aiutare le persone per scelta professionale ha bisogno di avere il sistema della compassione ben funzionante e lucido e bilanciato.
Molti credono che sia una questione di “distacco”, di mantenere la giusta distanza, cioè che l’ideale sia non farsi coinvolgere emotivamente dai problemi di chi ci chiede aiuto per agire con precisione ed efficacia, altri invece sono ben contenti di lasciarsi permeare quasi del tutto dal sentito del paziente/cliente e che già questo sia utile per dare inizio ad un cambiamento.
Ci sono varie scuole di pensiero in merito, ma secondo me il punto non è questo, non è quanto il cliente o il paziente ti senta vicino ad aiutarlo così come non è il distacco a rendere l'operatore più lucido. È lasciar libero l’archetipo, lasciarlo agire nel suo meraviglioso equilibrio primordiale, allora sympatheia, cum-patior, concordia e tutto il pacchetto ti manterrà in equilibrio e agirai sulla base di quell’empatia potente tanto elogiata da Rifkin, tanto ricercata dai cacciatori di teste delle grandi aziende.