La voce è uno strumento primitivo dotato di grande versatilità e complessità; la voce umana, in particolare, è un veicolo d’espressione tra i più sofisticati in assoluto. La qualità della voce di ogni persona ne influenza la vita più di quanto non si creda comunemente: secondo una serie di studi, svolti in varie università Statunitensi, chi ascolta un discorso o chi è coinvolto in un dialogo si fa influenzare molto più di quanto si pensi dalle caratteristiche vocali dell’interlocutore e, in alcuni casi, il potere della voce è tale da superare abbondantemente quello delle argomentazioni. Chi ha la fortuna di possedere una voce armoniosa riesce, inconsapevolmente, a superare le barriere della mente cosciente ed a coinvolgere l’ascoltatore nella propria visione delle cose molto di più di chi, pur possedendo magari validissimi argomenti, si ritrova costretto ad esporli con toni striduli o nasali, o con una cadenza fastidiosa.
Tale teoria è confermata anche dalle caratteristiche funzionali della nostro apparato di ricezione del suono, il quale tende a dare più rilevanza alle modalità analogiche (volume, ritmo, tono, ecc) rispetto a quelle digitali (significati). Nelle canzoni, ad esempio, la melodia ha quasi sempre un impatto maggiore del testo sulle emozioni e sul giudizio estetico di chi ascolta.
Da quando, nel 2002, furono pubblicati gli esiti di queste ricerche, poi “debitamente” omogeneizzati e semplificati fino all’eccesso dai mezzi di comunicazione non specialistici, negli Stati Uniti tutti le persone interessate a “far colpo” sugli altri per professione (politici, venditori, promotori, ecc.) o per interesse personale sono diventati prede di una nuova figura professionale, il voice trainer (istruttori di dizione con l’intuito del marketing che hanno cambiato nome alle loro lezioni e ne hanno prontamente decuplicato il prezzo).
In Europa, tradizionalmente, il lavoro per migliorare la qualità della voce è svolto da differenti professionisti tramite diverse metodiche, tra questi i più noti sono: insegnanti di tecniche teatrali, maestri di canto, logopedisti, ecc. Il talento e la preparazione di alcuni tra questi insegnanti sono veramente degne di nota; le tecniche e le metodiche sviluppatesi nell’ambito delle singole discipline sono molteplici ed in grado di andare incontro alle esigenze più diverse. Una visione da non addetti potrebbe far pensare che la logopedia sia solamente un percorso terapeutico riservato a chi ha problemi di fonazione, così come le tecniche di canto possono sembrare rivolte ad un pubblico selezionato di aspiranti al palcoscenico: in realtà la voce è parte integrante dell’espressione di ogni essere umano, pertanto, possedere una voce integrata con le nostre caratteristiche psicofisiche e capace di adattarsi alle esigenze di comunicazione del momento è un diritto di chiunque.
La maggior parte delle persone non sviluppa pienamente una voce armoniosa, potente ed efficace a causa delle immancabili tensioni fisiche e delle altrettanto presenti inibizioni emotive: la forza espressiva della voce subisce un condizionamento negativo che ha le sue radici già nei primi momenti dell’educazione.
Riacquistare pienamente il “possesso” della propria voce è quindi un processo che va al di là di mere tecniche di controllo della laringe: è un percorso che ci porta a prendere coscienza di alcuni aspetti, anche molto profondi, del nostro essere e della sua interezza. Non a caso i gesuiti, depositari di una grande tradizione di esercizi spirituali, propongono spesso durante i ritiri momenti di riflessione incentrati proprio sulla voce: un’esperienza particolarmente significativa, è quella del “giorno del silenzio” e del successivo “momento dell’urlo”. Il silenzio ci insegna ad valorizzare la nostra parola mentre poi il momento dell’urlo, debitamente contestualizzato, assume l’aspetto di una catarsi, un affrancamento primordiale.
Anche nei monasteri buddisti la voce è tenuta in massima considerazione: gli allievi seguono per lo più la regola del silenzio ed anche il maestro soppesa attentamente le parole. Le preghiere, i sutra, sono quasi cantate, riprendendo le modalità del mantra, un’antichissima pratica vocale dalle molteplici funzioni e risvolti. Un’altra pratica di origine orientale indicativa del potere della voce è il kiaijutsu; il kiai, che potrebbe sembrare una sorta di urlo, è presente in quasi tutte le discipline tradizionali giapponesi. Il termine kiai è composto da due ideogrammi; il primo “ki” significa “energia vitale”, mentre “ai” sta per “armonia”; l’accostamento dei due concetti indica come l’emissione della voce sia utilizzata come una sorta di forza armonizzante, capace di imprimere una direzione comune ad intento mentale ed impegno fisico. Nelle arti marziali il kiai fa da tramite tra la concentrazione mentale e la spinta fisica necessarie per eseguire una tecnica perfetta, nella meditazione è utilizzato dai maestri con varie finalità, prima fra tutte accedere a stati di coscienza più profondi e probabilmente più primordiali; gli attori del teatro No coordinano l’espressività dei movimenti sul palcoscenico e la voce grazie al kiai per caricare i momenti drammatici tanto di significati simbolici quanto di forza espressiva.
Vi sono molte altre discipline tradizionali che utilizzano la voce come strumento creativo, di armonizzazione e di unificazione; in alcune tra queste sono evidenziati gli aspetti terapeutici della stessa. Ciò non dovrebbe stupire più di tanto: la voce è suono, vibrazione ed in quanto tale esercita un’azione fisica non solo sul mondo esterno ma anche sul corpo che la emette; anche l’emissione stessa, ancor prima del suono, essendo un’azione motoria, comporta un coinvolgimento corporeo che, con determinati accorgimenti, può risultare benefico.
A tal scopo, nello Yoga si insegna a ripetere il suono “Aum” o “Om” mantenendo la respirazione profonda e la colonna vertebrale ben eretta. Nel QiGong invece i suoni presi in esame sono sei: secondo la medicina tradizionale cinese, essi dovrebbero corrispondere a sei organi; in base ai dati in mio possesso, non si è ancora avuta una conferma scientifica sulla precisione di tale corrispondenza. Ciò che è innegabile è il diffuso senso di benessere che si prova immancabilmente dopo tale pratica.
Anche in occidente si sono sviluppate scuole che attribuiscono somma importanza all’utilizzo “integrale” della voce: basti pensare all’Euritmia, tecnica derivante dagli studi di Rudolf Steiner, fondatore del pensiero antroposofico. Nell’euritmia il percorso fondamentale è quello di rendere visibili, mediante il corpo, la parola e la musica; tale processo conduce i praticanti, secondo il mio parere, ad una elaborazione particolarmente profonda di parole, assonanze e significati, poiché debbono sintetizzarli in una drammatizzazione corporea non simbolica, come nella danza, ma tesa a riprodurne integralmente le sfumature. L’udito quindi è esercitato finemente ad un’abilità percettiva superiore: tale percorso si rivela fondamentale anche per gli aspetti produttivi della fonazione. Il grande medico Tomatis, inventore dell’omonimo metodo, dimostrò in molte occasioni come le abilità relative all’ascolto influenzassero non solo la qualità della voce di cantanti, speaker, e persone comuni ma anche le capacità di apprendimento e la qualità della vita psichica.
Un altro interessantissimo lavoro sulla voce è stato proposto dalla ricerca di Grotowsky sul “Teatro delle sorgenti”; progetto portato avanti, dopo la sua scomparsa, dai suoi allievi: tra questi, Zygmut Molik si riferì con enfasi alla necessità di un approccio integrale ed olistico alla fonazione: “Il segreto sta nel suono pieno e chiaro della voce, e per ottenerlo, è essenziale liberare e risvegliare la parte centrale del corpo. Spesso tutte le parti del corpo sono separate: allora siamo bloccati. Bisogna lavorare per riportare la propria voce al corpo, veicolo dell’energia e degli impulsi, fino ad un punto nel quale l’intero organismo è attivo sia nel parlare che nel cantare”.
Nelle popolazioni primitive l’utilizzo della voce è estremamente variegato e raffinato; sebbene alcuni documentari girati in preda a non so quale delirio evoluzionistico, ci portino a identificare la comunicazione preistorica come a poco più che un insieme di ringhi e grugniti, in realtà il linguaggio parlato da molte tra queste popolazioni possiede una ricchezza invidiabile non solo dal punto di vista analogico di toni, volumi e frequenze ma anche per il grado di coerenza corpo-voce che si presenta ad un livello raggiungibile dai “civilizzati” solo mediante anni di pratica. Molte culture primitive attribuiscono al canto il potere creativo di generare il mondo materiale, forse per questo il loro canto è così pieno ed armonioso; forse visualizzano montagne, fiumi e spazi immensi.
Concordo su questo articolo. Io pratico da 20 anni il buddhismo giapponese del mantra nam Myoho renge kyo.un suono che genera, o meglio, “riceve” effetti incredibili. Invito a provare. Grazie
ottimi spunti di riflessione, grazie e condivido.
bel articolo.
Concordo in pieno con l’interesse dell’argomento.
Ho avuto modo di udire un mantra di invocazione al dio Shiva da parte di un indiano che voleva mostrarmi la differenza fra le forme diluite di Yoga insegnate in occidente,e la profondità delle vere pratiche antiche.
La potenza di quel mantra è stata semplicemente indescrivibile:posso solo raccontare,a livello annedotico,che mi si sono rizzati-in senso letterale del termine-tutti i capelli sulla testa e i peli delle braccia.
Per quel tipo di suono non ho più sentito nulla di simile.
Molto interessante,anche se differente per utilizzo e fine,la vocalizzazione di un maestro cinese di Yi Chuan che eseguiva l’esercizio del suono durante la tecnica.
Molto intimidatorio e potente,si accompagnava integrandosi perfettamente al movimento.
Queste due esperienze mi hanno convinto che la vera ricchezza vada cercata nelle pratiche antiche,anche se la ricerca ovviamente deve proseguire.
Domandona:anni fa lessi l’interessantissimo “al lavoro con Grotowsky sulle azioni fisiche”…..ci sono in italiano altri libri che vale la pena leggere?