Il respiro, questo sconosciuto

Di Francesco Schiraldi

24/09/2014

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Viviamo per lo più in città, sommersi da impegni e preoccupazioni, concedendoci spesso poco tempo e spazio per recuperare le energie investite e disperse. Non voglio fare un quadro tragico, ma incertezza economica, un lavoro che non piace, una relazione che non soddisfa e tanto altro sono problematiche comuni considerate anche normali in alcuni casi.

Certamente l’essere umano, nella sua grandezza, è capace di sopravvivere anche così e lo fa mettendo in atto tutta una serie di reazioni. Un indicatore molto preciso di una di queste possibili reazioni allo stato di stress è il respiro.

Conosciamo tutta una serie di parametri riguardo il respiro che la medicina considera fisiologici. Leggiamone alcuni:

  • “Nel riposo, l’uomo normale respira 12-15 volte al minuto, inspirando ed espirando 500 ml di aria, o 6-8 litri/min.” (Fisiologia medica, W.F.Ganong, 1967)
  • “Il passaggio di aria nelle vie aeree è un fenomeno intermittente, ciclico, della durata, a riposo, di circa 4 secondi, di cui 1,8 deputati all’inspirazione e 2,2 all’espirazione. Pertanto, in un minuto sono 15 gli atti respiratori.” (Fisiologia dell’uomo, AA.VV., edi-ermes, 2002).

Alcuni testi danno come normale una frequenza respiratoria tra i 10 e i 20 atti al minuto, altri si sbilanciano tra i 15 e i 18. Il fatto è che c’è una tendenza all’aumento della frequenza respiratoria nella popolazione e sembra che i parametri fisiologici si adeguino a questa media. Quello che un tempo era anomalo ora è normale. Ma perché questo?

Chiunque si accorge che in una situazione di pericolo imminente si attivano una serie di risposte del nostro organismo che ci permettono di reagire e difenderci. È il cosiddetto fight or flight, la risposta acuta allo stress che permette una rapida attivazione per aumentare le possibilità di sopravvivenza. Questo succede ogni volta che siamo esposti ad una minaccia, come ad esempio un’aggressione. Sinteticamente si può dire che si attiva il sistema nervoso simpatico che stimola le ghiandole surrenali a rilasciare adrenalina e noradrenalina. Un risultato evidente è l’incremento della frequenza e della pressione cardiaca e della frequenza respiratoria.

Fortunatamente non incorriamo spesso in pericoli estremi. La maggior parte di noi, però, trasporta questo meccanismo a difesa da fattori stressanti che non saranno quindi brevi e acuti, come può essere ad esempio l’attacco di un animale, bensì costanti e meno appariscenti. La nostra società e il modo in cui cresciamo offre numerose possibilità per potersi preoccupare di qualsiasi cosa, generando uno stato di ansia più o meno leggero.

Ecco quindi che la mia esperienza nel trattamento di alcuni problemi respiratori, in particolare l’asma, mi ha confermato la teoria per cui alla base di moltissime patologie o comunque problematiche respiratorie ci sia uno stato di ansia e inquietudine conseguente al contesto in cui viviamo e alle esperienze vissute. Descrizioni del tipo “sento un peso sul petto”, “mi manca l’aria”, “mi sento chiuso”, ecc… rendono molto bene l’idea già da sole.

Allora, partendo da questo presupposto, che fare? Intanto una buona notizia. Lidia Herenfried in Dall’educazione del corpo all’equilibrio dello spirito scrive: “Il corpo umano pare dotato di una tendenza ordinatrice che collabora, non appena le si fornisca una minima possibilità, a rimettere immediatamente ogni cosa al suo posto.

Quanto mi piace questa frase! Possiamo estrapolare due concetti fondamentali:

  1. abbiamo questa capacità ordinatrice già dentro senza bisogno di apprenderla
  2. è bene fornire la possibilità a questa capacità di emergere.

A qualcuno questi concetti potranno sembrare banali, ma se ci guardiamo intorno la direzione quasi sempre è quella opposta, ovvero quella di una cultura estremamente addestrativa il cui contesto culturale, sociale e urbanistico generalmente offre stimoli opposti a quelli che ci servirebbero per stare bene.

Lidia Herenfried scrive anche: “Non si tratta di insegnare all’allievo il comportamento corretto mostrandolo direttamente: bisogna piuttosto renderlo capace di scoprire da e per se stesso la propria attitudine migliore, corrispondente alla sua natura individuale.

Mettiamo a confronto questi concetti con il metodo abituale (l’unico che veramente mi è stato trasmesso in ambito accademico) di allenamento o di apprendimento motorio. Un allenatore fa vedere un gesto e l’atleta lo ripete tutte le volte che serve fino a realizzarlo il più possibile simile a quello dimostrato. Questo modo, di imposizione esterna, si è consolidato a mio parere per necessità e non per funzionalità. Lo sport e l’avviamento allo sport stanno diventando gli unici protagonisti dell’attività fisica e queste discipline per essere praticate necessitano dell’apprendimento di gesti non naturali, bensì modificati per la prestazione.

In più, sempre a mio parere, tutto ciò che è apprendimento al giorno d’oggi risente dell’influenza del tipico insegnamento militare: in poco tempo addestrare tanti uomini, i quali tra l’altro meno domande si fanno e meglio è. Con questo non voglio dire che è sbagliato, ma solamente che è solo un modo e che non è sempre il più efficace. Abituato com’ero, quindi, a questi esercizi meccanici e ripetitivi, cominciare ad operare in questo senso è stato estremamente positivo. Ora posso scegliere quando usare uno o quando usare l’altro. E proprio così ho notato che si ottengono degli ottimi risultati. A questo punto, chiariti i presupposti e le modalità di lavoro, si tratta di definire come intervenire.

Indubbiamente agire direttamente sul respiro ha degli effetti, anche immediati, molto potenti. In particolare:

  1. Sul rilassamento generale, andando ad agire a livello del sistema nervoso parasimpatico.
  2. Su tutto il sistema articolare, muscolare e miofasciale del torace, dell’addome e della pelvi andando ad esercitare un’azione anche meccanica dei tessuti.
  3. Sullo schema motorio del respiro.

Molte tecniche orientali antichissime dedicano grande spazio al respiro e all’esercizio del respiro. Inoltre alcuni metodi più recenti, come ad esempio il metodo Buteyko, si sono rivelati utili nella risoluzione di patologie. Non è mia intenzione ora approfondire questi metodi in quanto vorrei che il focus fosse, come ho già specificato, sui motivi che portano ad un respiro alterato.

Allora che fare?

Serve un modo che porti la persona in una condizione per cui quei fattori stressanti non provochino più determinate reazioni. O eliminiamo gli stressor, ma non sempre è possibile, oppure cambiamo posizione rispetto a questiIl Movimento Arcaico funziona proprio così e quindi in questo contesto si inserisce molto bene. I gesti arcaici, ripresi ed esercitati in maniera naturale ed integrata, hanno la caratteristica di far emergere una serie di potenzialità che probabilmente si trovavano bloccate sotto strati di insicurezze e convinzioni negative. Per gesti arcaici intendo tutti quei movimenti che sono tipici dell’essere umano come specie. Dalla camminata, diversa da quella di un impiegato milanese in ritardo per la metro, alla corsa, anche questa diversa però da quella che solitamente si vede e caratterizzata da un volto sofferente del corridore. Poi ad esempio l’arrampicata, purtroppo spesso evitata o addirittura vietata e ancora il salto, il lancio, il rotolamento, e molti altri.

Andare a rievocarli nella loro naturalezza e spontaneità ci mette in contatto con una parte molto profonda di noi. La conseguenza è che ci si trova in una condizione nuova, potenziata e più consapevole con il vantaggio di poter affrontare diversamente eventi ed interazioni della vita. Ovviamente il respiro risponde molto positivamente a questa nuova condizione e quindi non reagisce più come prima, semplicemente per il fatto che non c’è più la stessa necessità.

Si capisce quindi che intervenire in questo modo porta a molteplici vantaggi. La diminuzione o la scomparsa dei sintomi non è il solo effetto positivo, ma insieme a questo si guadagna in sicurezza, forza e serenità.


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